Giornale “L’Operaio” di Napoli (1861) - Fasti brigantesco-papalini

Scrivono da Roma, 7 dicembre 1861 alla Nazione:
Il comando e la polizia francese in Roma non solo non reprime, ma si può anche dire che favorisce il brigantaggio. Prima di tutto non si capisce come il Governo di Francia permette l’opera impunita dei comitati legittimisti di Marsiglia e di Parigi, i quali forniscono alimento al brigantaggio, in uomini, armi o denaro. In seguito posso darvi assicurazione dei seguenti fatti. È stato dato il cambio alle guarnigioni francesi del Frosinonese: nuovi mandati ebbero un’allocuzione del generale De Goyon nella quale disse di non ispiegare soverchio zelo contro i così detti briganti, perchè niuna ricompensa od onorificenza si dovevano aspettare, e non era cosa che riguardava la Francia. I briganti arrestati all’osteria di Alatri sono stati tutti rimessi in libertà, e a piccole squadre son tutti ripartiti per gli antichi covili, rivestiti, pagati a 4 paoli il giorno, e con regolare foglio di via pontificio. L’amministrazione delle strade ferrate si presta anch’essa a quest’opera buona, arruolando come lavoranti questa canaglia, radunandoli poi tutti in certo dato tempo a Ceprano, o in altro punto di confine dove poi al passaggio di Chiavone si trovano belli e uniti, e vanno con esso. Cosi appunto fecero 200 di costoro per la spedizione d’Isoletto e San Giovanni in Carico.
Il campo Chiavone sta ora nella provincia di Marittima, e da Fossanuova (abbazia) si vedeno i suoi fuochi e le sue tende: i Francesi li vedeno e li lasciano stare. Quattro pezzi da montagna furono condotti nel convento di Scifelli: ne fu dato avviso al comando francese di Veroli, ma questi rifiutossi ostinatamente a far perquisire il convento, e i quattro pezzi vi stanno ancora sicuramente a disposizione del brigantaggio. È falso falsissimo che i Francesi siensi mai affrontati coi briganti, tranne quella spedizione del tenente Antonmarchi, fatta appunto a Scifelli, dove i briganti trassero sui Francesi, e i Francesi risposero e li fugarono. Infine, lo scorso lunedì Chiavone era in Roma, e doveva alla sera alle ore 5 e mezzo pomeridiane avere una conferenza con parecchi capi-squadra di briganti, alla “locanda del sole” sulla piazza della Rotonda, nel centro della città. La polizia francese ne fu avvertita, ma Chiavone conferì sicuramente coi suddetti, concorsi in numero di trenta circa, e solo la seguente mattina, quasi a dileggio, si presentarono alcuni birri papali a domandare se v’era Chiavone. Questa, e non altra, è la cooperazione francese alla repressione del brigantaggio. Vi dissi già che quel Ferdinando Ricci, capo brigante, arrestato dai Francesi, è stato dimesso dal consiglio di guerra; qualche persona, che può essere al caso di saperlo positivamente, mi assicura che i giudici di detto consiglio furono il giorno innanzi, invitati a pranzo da Francesco II (abitava in Roma), e vi andarono. Ne meno sfacciata è la cooperazione del Governo papale in promuovere e fornire il brigantaggio: vi rammentate di quei sessanta briganti arrestati pro forma verso Palombara dai gendarmi papali, e custoditi poi nella stessa caserma dei gendarmi? Or bene, lo stesso giorno del loro arrivo, due uffiziali di gendarmeria si portarono in carrozza chiusa al magazzino d’abbigliamento militare a San Giacomo, e l’ho da persona che li vide cogli occhi propri, là caricarono una quantità di vecchie uniformi e pantaloni, e i briganti cosi rivestiti furono rimandati ad ingrossare la banda di Chiavone: parecchi di costoro colla detta uniforme si trovarono, e furono uccisi a San Giovanni in Carico. Se poi volete sapere come dal Governo papale si alimenti il brigantaggio estero, ecco qual’è la trafila. Il Comitato legittimista di Marsiglia, che fa capo al signor Anatolio Lemercier, finge di arruolare dei Belgi e dei Francesi pel servizio della Santa Sede: a tal fine dà loro una carta con un bollo analogo. Gli arruolati vengono sui postali francesi a Civitaveccchia, donde il monsignor Delegato li spedisce colla ferrovia a Roma. Qui vengono subito presi in consegna dal signor Luzzi segretario particolare di De Merode, i quali hanno la posizione segreta e sono esclusivamente incaricati del servizio militare borbonico. Sopra un semplice ordine di De Merode, vengono forniti dal magazzino militare le vesti, gli armamenti, le cariche, senza sapere a chi, e mettendo solo come documento l’ordine suddetto. I signori Lepri e Luzzi passano immediatamente i detti arruolati nei ruoli borbonici: li fanno dormire alla spicciolata nei quartieri dei battaglioni esteri presso S.Maria Maggiore, e fanno ad essi somministrare il vitto dalla taverna di un certo Rufinoni, presso la detta basilica, in uno stanzone appartato dietro la cucina, ove non entra alcuno. Dopo qualche giorno i detti arruolati o vengono spediti ai confini per Chiavone, o vengono rimandati a Civitavecchia, dove il console napoletano signor Galera tiene in pronto i posti nei vapori postali francesi, e mediante questi li manda a Napoli, se possono andare senza sospetto o più ordinariamente a Malta, Cosi si è formata la banda Boriès e Langlois che ora va desolando la Basilicata. Del resto è continuo l’andirivieni dei legittimisti di tutte le specie. Lo scorso martedì uno di costoro, che si dice gran signore si portò al conte di Trapani e gli insinuò d’indurre Francesco Il a fare due proclami, uno agli operai, uno alla nobiltà di Francia. Con questo detto il signore sperava far gran concorso nelle file reazionarie ed assicurava più volte che il terreno era stato ben preparato all’uopo.


Secondo Gaetano Salvemini: "Contro la duplice oppressione cui li hanno sottoposti in questi cinquant'anni di unità politica i "galantuomini" locali e l'industrialismo settentrionale, i "cafoni" meridionali hanno reagito sempre, come meglio o come peggio potevano. Subito dopo il 1860 si dettero al brigantaggio: sintomo impressionante del malessere profondo che affaticava il Mezzogiorno, e nello stesso tempo indizio caratteristico del vantaggio che si potrebbe ricavare - quando ne fossero bene utilizzate le forze - da questa popolazione campagnola del Sud, che senza organizzazione, senza capi, abbandonata a se stessa, mezzo secolo fa tenne in scacco per alcuni anni tanta parte dell'esercito italiano".
 Il deputato Ferrari, nel novembre 1862 grida in aula: «Potete chiamarli briganti, ma combattono sotto la loro bandiera nazionale; potete chiamarli briganti, ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borbone sul trono di Napoli. E’ possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa a un esercito regolare di 120.000 uomini? Ho visto una città di 5000 abitanti completamente distrutta e non dai briganti» (Ferrari allude a Pontelandolfo, paese raso al suolo dal regio esercito italiano il 13 agosto 1861). Massimo D’Azeglio nel 1861 si domanda in aula come mai «al sud del Tronto» sono necessari «sessanta battaglioni e sembra non bastino»: «Deve esserci stato qualche errore; e bisogna cangiare atti e principii e sapere dai Napoletani, una volta per tutte, se ci vogliono o no… agli Italiani che, rimanendo italiani, non volessero unirsi a noi, credo non abbiamo diritto di dare delle archibugiate».
Disraeli ex cancelliere dello Scacchiere (e futuro primo ministro), alla Camera dei Comuni di Londra, nel 1863: «Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle dei Meridione italiano. E’ vero che in un Paese gl’insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti». Tra il maggio 1861 e il febbraio 1863, l’esercito italiano ha catturato «con le armi» e perciò fucilato 1038 rivoltosi; ne ha uccisi in combattimento 2.413; presi prigionieri a vario titolo 2.768 (ma la stima è 10 volte più alta).L'anno 1863 fu tra i più duri della campagna:Omicidi commessi dai briganti n. 379, Sequestri commessi dai briganti 331, Capi di bestiame uccisi o rubati 1.821, Briganti morti in conflitto 421, Briganti fucilati 322, Briganti arrestati 504, Briganti costituitisi 250, Militari dell'Esercito caduti in conflitto  228, Feriti  94
Cattura del Borjes da parte del Maggiore Enrico Franchini del XXVIII btg. Rapporto dettagliato.

Da "Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863" del conte Alessandro Bianco di Saint-Jorioz. ...Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio: la povertà dei coloni agricoli, la rapacità e la protervia dei nobili e dei signori; l'ignoranza turpe in cui è giaciuta questa popolazione: l'influenza deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo, l'idolatria fatte religione e santificate; la mancanza del senso morale...... lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati, nella magistratura, nei pubblici funzionari, la rapina , il malversare....tutti i vizi, come tutte le miserie si sono scagliate sopra questo infelice popolo, si può dire, per servirmi di un vieto e rancido paragone mitologico, che la famosa scatola di Pandora sembra essersi riversata su questa infelice e misera quanto bella e amena terra...la configurazione stessa del paese, coperto di interminabili catene di montagne e vasti dirupi, di macchie foltissime e di oscure, fitte e immense foreste; le idee del governo borbonico che di quelle montagne non davasi cura, non vi tagliava strade, non vi costruiva ponti: la mancanza totale di commercio, di vita sociale, di movimento industriale, di comunicazione qualunque intellettuale e materiale a tal punto che vi sono tutt'ora numerosissimi distretti vedovi di una strada comunale, ignorata la vista di una vettura (a cavalli), sentieri così malagevoli e pericolosi che i muli stessi non si peritano a percorrerli ..... Esercito e burocrazia furono le colonne immutabili d'un edificio di Governo cheraffigurava la negazione d'ogni principio buono ed onesto. L'uomo della campagna è ridotto allo stato d'ilota e di gleba; egli è oppresso dall'usura, male rimunerato, non sfamato. In nessun paese del mondo l'agricoltore è tanto povero ed infelice quanto in queste contrade....  Se una correlazione al mondo moderno può essere fatta, bisogna risalire alla fine del secolo scorso quando le due Germanie si unificarono. Gli intenti e le condizioni qui lasciavano presagire una più breve integrazione, ma fu una generazione intera che pagò con la miseria e l'ignoranza. Una pur tenua luce le nuove generazioni tedesche l'avrebbero vista in un paese da sempre abituato ad essere ligio ed obbediente ed onesto. Quanto invece di questo i nostri relatori (Nigra, capitolo precedente, e Bianco) riuscirono ad infondere nei governi italiani di allora non è dato a sapere, ma certo è il risultato.

Borjes e gli altri, processati, vengono condannati a morte. La lotta fra briganti da una parte e guardie municipali, civiche, carabinieri e reparti dell'esercito dall'altra, si svolge fra violenze inaudite ed esecuzioni sulle pubbliche piazze nella speranza che il fenomeno regredisca. Soldati e briganti, invece di combattersi apertamente, si cacciavano come selvaggi: nessuna legge, nessun quartiere. Il gen. Pinelli e il magg. Fumel opposero terrore a terrore. I briganti, sorprendendo qualche manipolo di soldati, li martoriavano e mutilavano vivi; scene di cannibalismo desolavano campagne e villaggi; si vendeva sui mercati e si mangiava carne di soldati; mezze compagnie di bersaglieri, accolte a festa in qualche borgo, erano convitate ed avvelenate dalle stesse autorità municipali. Vennero saccheggiati paesi, arse a dozzine le borgate (anche per rappresaglia in seguito alla efferata uccisione di una compagnia di soldati a Pontelandolfo vedi sotto) senza pietà ne per infermi, ne per fanciulli e vecchi; si fucilò a caso per qualunque sospetto; non si vollero prigionieri, ma cadaveri. Accanto alle repressioni legate al brigantaggio si ebbero anche le proteste sorte nei civili consessi, legate spesso alle scelte economiche che vedevano il sud sempre più emarginato come agli stabilimenti ferroviari di Pietrarsa. Il brigantaggio però prosegue ancora per tutti gli anni 60, ed in misura diversa, con bande ridotte, fino alla fine del secolo. Se prima si parlava di "Situazione Meridionale", ora si comincia a parlare di Questione (problema) meridionale sotto tutti gli aspetti. Con l'affermarsi dell'amministrazione centrale e la dislocazione in ogni comune dei Reali Carabinieri (nel corpo entrano anche le guardie meritevoli, dei rispettivi stati accorpati), la lotta prosegue fra alterne vicende finché il fenomeno viene a confondersi con la normale criminalità. E' degli anni 70 la costituzione in Sicilia dei Bersaglieri a cavallo, circoscritti a soli quattro plotoni di circa 100 uomini, coadiuvati per gli animali da personale di cavalleria per combattere il fenomeno mafioso.  L'armamento è quello tipico dei cavalleggeri, uno schioppo corto, facilmente maneggiabile una volta appiedati. Non fu mai reparto organico, ma di circostanza giacché faceva  montare chi aveva dimestichezza con la sella (cosa che allora erano ancora in molti ad avere). La dislocazione su tutto il territorio del nuovo esercito italiano (130 reggimenti ) e le nuove norme di leva, amalgamarono le varie componenti nazionali. L'erede al Trono, da principe di Carignano, divenne principe di Napoli. A Torino, città ormai periferica rispetto a Roma, stava per nascere la FIAT e il cinema italiano.
Un altro capitolo si è aggiunto alla terna di sopra MAFIA, GABELLE E GABELLOTTI per meglio comprendere il passato e il presente e il libro "I Lager dei Savoia" nella sezione Free Time dalla pagina iniziale.

Nota 1- A San Giuseppe Jato, presso Palermo, dei malfattori in pochi mesi avevano commesso numerosi delitti e cinque omicidi per vendetta. I soldati stavano dando loro la caccia. Una sera il carabiniere Nosenza e il bersagliere Mordio, nella stampa sopra, si imbatterono in tre uomini armati; all'intimazione di fermarsi quelli presero a sparare, uccidendo il carabiniere. Il bersagliere a sua volta uccise un malandrino, egli altri due fuggirono; l'indomani uno venne ritrovato morto.

Nota 2- Il dipinto del 1861 di Francesco Saglieno, in alto a destra nella pagina, conservato a Napoli nel Museo di Capodimonte illustra un episodio realmente accaduto: reparti di bersaglieri e della Guardia Nazionale attaccano una banda di briganti in una impervia zona appenninica nei pressi di Civita Castellana (Vt).